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martedì 6 marzo 2018

a scuola....per imparare e anche divertirsi

Non è facile nè comune avere la opportunità di andare a scuola per insegnare, come docente, in una scuola superiore e avere anche la 'fortuna' di divertirsi imsieme agli studenti durante la propria ora di lezione.
I ragazzi se presi nel verso giusto sannao dare moltissimo anche nell'età adolescenziale.
Hanno la capacità di trasmettere le loro paure e insicurezze ma anche la loro gioa di vivere ed esplorare il mondo, mettendolo provocatoriamente in discussione e alla prova in continuazione.
Io cerco di trasmettere qualcosa a loro e di ascoltarli per imparare, per vedere il mondo con i loro occhi, di offrire possibili alternative 'lenti' perchè loro possano guardare il mondo da angolature e prospettive diverse dalle loro. Uno scambio continuo, reciproco, non sempre alla pari, ma sempre fruttuoso.

sabato 17 ottobre 2015

Shock economy, un libro da leggere

Da pochi giorni ho finito di leggere, nelle mie brevi serate prima di coricarmi, un testo di peso (sia come pagine che come contenuti): shock economy, di Naomy Kleim.
La sua tesi di fondo è molto interessante e molto ben documentata: la terapia della shock, del terrore, della distruzione è stata pianificata agli inizi del '900 in ambito psichiatrico per 'azzerare' la mente dei malati e poi 'ricostruire' una mente sana ed equilibrata e poi applicata in ambito economico soprattutto dal Milton Friedman e la sua scuola di Chicago. La Kleim ripercorre con approfondite testimonianze e documentate ricostruzioni la idea di fondo di questi cosiddetti 'Chicago boys': approfittare della situazione di disastro socio-economico-finanziario per proporre le ricette liberiste (ampia privatizzazione, deregulation, poco Stato e niente assistenza sociale, ecc). ma da questo primo passo la tesi della Kleim è che questi pensatori e i loro seguaci policy makers hanno poi creato situazioni di caos, voluto e programmato, per poi proporre le medesime ricette liberiste.
Un percorso molto lungo (e devo ammettere che alcune pagine le ho saltate) ma affascinante e inquietante: la nostre economie occidentali sono sotto lo scacco del liberismo, attraverso personaggi che occupano posti di rilievo nelle istituzioni mondiali e nazionali, e soprattutto le economie dei paesi prima di area marxista/sinistra e ora emergenti, che hanno seguito senza successo e soprattutto grandi conseguenze sociali negative, dolorose queste ricette.
Una tesi che ci richiama alla riflessione, a non guardare alle economie solo in termini di numeri ma soprattutto di conseguenze sulla vita non dei ricchi ma della povera gente, che ha pagato a caro prezzo queste ricette liberiste (dal Cile alla Russia, all'Argentina, al centro america, al sud est asiatico). Impressionante la quantità di personaggi di rilievo che seguono e propongono queste ricette.
Forse anche le tanto controverse tesi di una austery in ambito europeo sono sotto la stessa logica: colpire i più poveri, la maggioranza della popolazione ma formalmente mettere a posto i conti.
Un bel lavoro di ricerca e di analisi, una tesi che trova nella pianificazione della guerra in Iraq la sua apoteosi e esplicitazione più evidente.
Creare il caos per aprire la strada ai contratti multimiliardari a favore della aziende e statunitensi e occidentali.
Una tesi per questo inquietante e preoccupante.....

sabato 23 febbraio 2013

Paul Krugman e le sue ricette per uscire dalla Grande Recessione

Pubblicato all’inizio del 2012 il suo “End this depression now!” tradotto in italiano con “Fuori da questa crisi, adesso!” esprime tutta la sua critica per le politiche economiche e monetarie portate avanti fino adesso dall’amministrazione americana. La sua posizione principale è quella di portare avanti con “decisione” una strategia espansionistica monetaria, non aver paura della crescita dell’inflazione anche al 3-4% e un aumento sostanzioso della spesa pubblica per ottenere una maggiore occupazione e una ripresa dell’economia.

La politica dell’austerità non produce crescita ma recessione (p.266)

Secondo Krugman “ridurre le spese e tagliare i costi non porta all’uscita della crisi ma proprio perché spediamo poco, il reddito è in calo” (p.64)

Interessante anche la sua analisi della inopportunità storica della moneta unica a pag.194 ss. e definisce la “grande Illusione o Bugia” di pensare che “la crisi europea sia causata essenzialmente dall’irresponsabilità fiscale”, quindi proporre l’austerità. Niente di più inesatto secondo il premio Nobel.

Di fronte alla crisi dell’Eurozona, Krugman propone una ricetta per salvare l’Euro:

-          l’Europa deve mettere fine “agli attacchi di panico”, garantendo liquidità nelle casse dei governi.

-          Puntare sulla competitività, bilanciando i paesi in surplus commerciale e quelli in disavanzo.

-          Infine i paesi in disavanzo devono mettere politiche di austerità, per mettere in ordine le casse.

Un testo, quello di Krugman, molto chiaro e semplice, anche peri non addetti al lavoro, ricco di aneddoti, esempi concreti della vita economica americana e anche una piacevole semplificazione di alcune teorie economiche, spiegate con poche e chiare parole. Insomma un bel libro, da leggere.

Molto utile per capire alcune cose delle cause della attuale crisi economica mondiale, anche se quasi tutto è riferito alla politica ed economica americana che ha caratteristiche proprie e molto diverse da quelle europee.

lunedì 21 gennaio 2013

Stiglitz: la ricetta per la crescita e combattere la disuguaglianza


Riporto una mia traduzione dell’articolo del premio Nobel all’economia Joseph Stiglitz apparso il 19 gennaio 2013 sul NYTimes che mi sembra molto bello, acuto e stimolante (come al solito):

“La rielezione del presidente Obama è stata come un test di Rorschach, che secondo Wikipedia “fornisce una descrizione istantanea della psiche del soggetto, relativa al momento in cui viene effettuato ma va interpretato”, cioè un evento soggetto a molte interpretazioni. In queste elezioni, ogni dibattito ha riguardato questioni che mi preoccupano profondamente: il malessere in cui a lungo l'economia sembra essere assestata e il divario crescente tra l’ 1 per cento della popolazione e il resto - una disuguaglianza non solo per i risultati, ma anche per opportunità. Per me, questi problemi sono le due facce della stessa medaglia: con la disuguaglianza al livello più alto da prima della Depressione, una robusta ripresa sarà difficile nel breve termine, e il sogno americano - una buona vita in cambio di duro lavoro - sta morendo lentamente.

I politici di solito parlano della crescente disuguaglianza e della lentezza della ripresa come fenomeni separati, quando in realtà sono intrecciati. La disuguaglianza soffoca, trattiene e frena la nostra crescita. Quando anche la rivista di orientamento liberale, favorevole al libero mercato, come The Economist sostiene - come ha fatto in un reportage speciale nel mese di ottobre - che l'entità e la natura della disuguaglianza del paese rappresentano una seria minaccia per l'America, dovremmo capire che qualcosa è andato terribilmente storto. E tuttavia, dopo quattro decenni di allargamento della disuguaglianza e la più grande recessione economica dalla Grande Depressione, non abbiamo fatto niente.

Un quinto dei nostri bambini vivono in povertà - un'aberrazione tra le nazioni ricche.
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Ci sono quattro ragioni principali per cui la disuguaglianza sta rallentando la nostra ripresa. La più immediata è che la nostra classe media è troppo debole per sostenere la spesa dei consumatori, che ha storicamente guidato la crescita economica. Mentre l'1 per cento dei contribuenti ha portato a casa il 93 per cento della crescita dei redditi nel 2010, le famiglie della classe media - che hanno più probabilità di spendere i loro redditi, piuttosto che salvarli e che sono, in un certo senso, i creatori di posti di lavoro veri - hanno redditi familiari più bassi, al netto dell'inflazione, di quanto non fossero nel 1996. La crescita nel decennio prima della crisi era insostenibile - era impossibile che l’80 per cento consumasse circa il 110 per cento del proprio reddito.

In secondo luogo, lo svuotamento della classe media dal 1970, un fenomeno interrotto solo brevemente negli anni ‘90, significa che non sono in grado di investire nel loro futuro, educando se stessi ei loro figli e con l'avvio o il miglioramento delle imprese.

In terzo luogo, la debolezza della classe media frena il gettito fiscale, soprattutto perché quelli in alto sono così abili ad evitare le tasse e ad ottenere da Washington agevolazioni fiscali. Il recente modesto accordo per il ripristino del livello marginali reddito aliquote fiscali dell’era- Clinton per le persone che dichiarano più di 400.000 dollari e per le famiglie che dichiarano più di $ 450.000 non cambiato nulla in questa disuguaglianza. I ricavi dalla speculazione di Wall Street sono tassati ad un tasso di gran lunga inferiore rispetto ad altre forme di reddito. Basse entrate fiscali significa che il governo non può fare gli investimenti necessari in infrastrutture, istruzione, ricerca e salute che sono cruciali per il ripristino di una forte economia a lungo termine.

In quarto luogo, la disuguaglianza è associata a più frequenti e più gravi cicli di ‘alti e bassi’ che rendono la nostra economia più instabile e vulnerabile. Anche se la disuguaglianza non è causa diretta della crisi, non è un caso che il 1920 - l'ultima volta che la disuguaglianza del reddito e della ricchezza negli Stati Uniti è stata così alto - si è conclusa con la grande crisi e la depressione. Il Fondo Monetario Internazionale ha preso atto della relazione sistematica tra l'instabilità economica e la disuguaglianza economica, ma i leader americani non hanno imparato la lezione.

La disuguaglianza alle stelle - così contraria al nostro ideale meritocratico dell'America come un luogo dove chiunque con il duro lavoro e il talento può "fare" - significa che coloro che sono nati da genitori con mezzi limitati rischiano di non vivere fino in fondo il loro potenziale. I bambini in altri paesi ricchi come il Canada, la Francia, la Germania e la Svezia hanno una migliore possibilità di fare meglio dei loro genitori, rispetto a quanto possano fare i ragazzi americani. Più di un quinto dei nostri bambini vivono in povertà - il secondo peggior dato di tutte le economie avanzate, che ci mette dietro a paesi come la Bulgaria, la Lettonia e la Grecia.

La nostra società sta sperperando la sua risorsa più preziosa: i nostri giovani. Il sogno di una vita migliore che ha attirato gli immigrati sulle nostre coste è stato schiacciato da un abisso sempre più ampio del reddito e della ricchezza. Tocqueville, che nel 1830 trova nell'impulso di essere eguali l'essenza del carattere americano, sta rotolando nella tomba.

Anche se siamo stati in grado di ignorare l'imperativo economico di risolvere il problema della nostra  disuguaglianza, il danno che sta facendo per il nostro tessuto sociale e la vita politica dovrebbe spingere tutti a preoccuparsi. La disuguaglianza economica porta alla disuguaglianza politica e uno scorretto processo decisionale.

Nonostante il dichiarato impegno di Obama di aiutare tutti gli americani, la recessione e gli effetti persistenti per il modo in cui è stata gestita hanno reso la situazione molto, molto peggiore. Mentre è stato versato denaro per salvare le banche nel corso del 2009, la disoccupazione è salita al 10 per cento in Ottobre. Il tasso di oggi (7,8 per cento) appare migliore anche perché tante persone hanno abbandonato la forza lavoro, o non sono mai entrati, o hanno accettato lavori part-time perché non c'era lavoro a tempo pieno per loro.

L’elevato tasso di disoccupazione, naturalmente, deprime i salari. Al netto dell'inflazione, i salari reali sono rimasti stazionari o caduti, il reddito di un lavoratore uomo tipico nel 2011 (32,986 dollari) è stato inferiore a quello del 1968 (33.880 $). Entrate fiscali inferiori, a loro volta, hanno costretto i tagli statali e locali nel settore dei servizi vitali per quelli in basso e medio.

Il bene più importante per la maggior parte degli americani è la loro casa, e come i prezzi delle case sono crollati, così la ricchezza delle famiglie - soprattutto perché tanti avevano preso in prestito denaro per le loro case. Un gran numero è rimasto con un patrimonio netto negativo, e la ricchezza media delle famiglie è scesa di quasi il 40 per cento, a 77.300 $ nel 2010 da 126.400 $ nel 2007, e ha rimbalzato solo leggermente. Dall’inizio della Grande Recessione, la maggior parte della crescita della ricchezza della nazione è andata alla percentuale più piccola ed in alto della società.

Nel frattempo, mentre i redditi sono rimasti stazionari o caduti, il problema dell’educazione è aumentato vertiginosamente. Negli Stati Uniti oggi, la via principale per accedere all’educazione- l'unico modo sicuro per spostarsi verso l'alto nella scala sociale- è quello di prendere in prestito denaro. Nel 2010, il debito degli studenti, a 1000 miliardi dollari, ha superato per la prima volta il debito delle carte di credito.

Il debito dello studente non può quasi mai essere eliminato, anche in caso di fallimento. Un genitore che co-firma un prestito non può necessariamente avere il debito scaricato, anche se suo figlio muore. Il debito non può essere scaricato anche se la scuola – che opera a scopo di lucro e di proprietà di finanzieri di sfruttamento - ha fornito una formazione inadeguata, ha allettato lo studente con promesse ingannevoli, e lui non è riuscito a ottenere un posto di lavoro dignitoso.

Invece di versare denaro nelle banche, avremmo dovuto  provare a ricostruire l'economia dal basso verso l'alto. Avremmo dovuto permettere ai proprietari di abitazione, che erano o sono "con l’acqua alla gola" - coloro che sulle loro case devono più soldi di quello che vale la casa stessa – ad avere un nuovo inizio, scrivendo un accordo, in cambio della rinuncia da parte della banche di una quota dei guadagni, fintantochè la casa abbia recuperato il suo prezzo.

Obama ha salvato le banche, ma non investe abbastanza negli operai e negli studenti.
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Avremmo potuto riconoscere che quando i giovani sono senza lavoro, la loro capacità si atrofizza. Avremmo  potuto fare in modo che ogni giovane o fosse a scuola, o in un programma di formazione o in un posto di lavoro. Invece, lasciamo che la disoccupazione giovanile cresca al doppio della media nazionale. I figli dei ricchi possono soggiornare in un college o frequentare l'università, senza accumulare un enorme debito, o prendere tirocini non retribuiti per rinforzare il proprio CV. Non è così per quelli del ceto medio e basso. Stiamo seminando sempre di più i semi della disuguaglianza nei prossimi anni.

L'amministrazione Obama non ha, ovviamente, tutta la colpa. I tagli fiscali del presidente George W. Bush  nel 2001 e nel 2003 e le sue miliardarie guerre in Iraq e in Afghanistan hanno svuotato il salvadanaio, accentuando la frattura. Ritrovare l’impegno del suo partito per la disciplina fiscale - sotto forma di insistere sulle tasse basse per i ricchi, tagliando i servizi per i poveri - è il massimo dell'ipocrisia.

Ci sono tanti tipi di scuse per giustificare la disuguaglianza. Alcuni dicono che è fuori del nostro controllo, indicando le forze di mercato quali la globalizzazione, la liberalizzazione del commercio, la rivoluzione tecnologica, la "crescita di tutto il resto" le cause di questa situazione. Altri sostengono che fare qualcosa a riguardo renderebbe tutto peggiore, soffocando il nostro motore già debole dell’economia . Si tratta di falsità ignoranti.

Le forze di mercato non esistono nel vuoto – ma siamo noi a formarle. Altri paesi, come quello di rapida crescita quale il Brasile, li hanno modellate in modi che hanno controllato la disuguaglianza e contemporaneamente hanno creato maggiori opportunità di lavoro e maggiore crescita. Paesi molto più poveri del nostro hanno deciso che tutti i giovani dovrebbero avere accesso al cibo, all'istruzione e alla sanità in modo che possano soddisfare le loro aspirazioni.

Il nostro quadro giuridico e il nostro modo di farlo rispettare ha fornito più spazio per gli abusi da parte del settore finanziario, per il risarcimento perverso degli amministratori delegati, per la capacità dei monopoli di trarre vantaggio ingiusto dal loro potere concentrato.

Sì, il mercato valuta alcune abilità più altamente degli altri, e coloro che hanno tali competenze faranno bene. Sì, la globalizzazione e i progressi tecnologici hanno portato alla perdita di posti di lavoro della buona manifattura, che probabilmente non torneranno più. L'occupazione manifatturiera globale si sta restringendo, semplicemente a causa di enormi aumenti di produttività, e in America è probabile che ci sarà una contrazione del numero di nuovi posti di lavoro. Noi riusciremo a "salvare" questi posti di lavoro, solo se cercheremo di ridurre il reddito dei posti di lavoro ad alto reddito a favore di quelli a basso livello - una strategia molto difficile a lungo termine.

La globalizzazione e lo squilibrio che è stato perseguito hanno spostato il potere contrattuale dai lavoratori: le imprese possono minacciare di trasferirsi altrove, soprattutto quando le leggi fiscali trattano tali investimenti all'estero in modo così favorevole. Questo a sua volta ha indebolito i sindacati, e anche se i sindacati sono stati a volte una fonte di rigidità, i paesi che hanno risposto in modo più efficace alla crisi finanziaria globale, come la Germania e la Svezia, hanno sindacati forti e forti sistemi di protezione sociale.

Mentre inizia il secondo mandato di Obama, tutti noi dobbiamo affrontare il fatto che il nostro paese non può rapidamente e in modo significativo ottenere un recupero economico in assenza di politiche che affrontino direttamente la disuguaglianza. Ciò che serve è una risposta globale che deve includere, almeno, significativi investimenti in materia di istruzione, un sistema fiscale più progressista e una tassa sulle speculazioni finanziarie.
La buona notizia è che il nostro modo di pensare è stato formulato: è solito chiederci quanto siamo disposti a sacrificare la crescita per ottenere maggiore parità e opportunità. Ora ci rendiamo conto che stiamo pagando un prezzo molto alto per la nostra disuguaglianza e che le questioni di poterla alleviare e insieme promuovere la crescita si intrecciano, gli obiettivi sono complementari. Spetterà a tutti noi - i nostri leader inclusi – trovare finalmente il coraggio e la lungimiranza per il trattamento di questa complessa malattia.

giovedì 3 gennaio 2013

Economia sociale di mercato: una prospettiva per l'oggi

Vorrei riproporre un mio articolo del 2010 scritto per L'Occidentale che ancora oggi presenta la sua attualità in tema di economia sociale di mercato. Una visione che permette di offrire spazi alla libera concorrenza e all'iniziativa privata entro una cornice di valori e prospettive che salvaguardano la persona e la collettività, li difendono dall'eccessiva rincorsa alla liberalizzazione economica e della propietà privata, in una lotta per il profitto a tutti i costi e allo smantellamento del welfare.
"Nessuno viene obbligato ad essere felice, ma ognuno deve avere l’opportunità di realizzare la felicità della propria vita attraverso il rendimento e lo sforzo. In ciò consiste la promessa del’economia sociale di mercato. È una prospettiva attuale anche per l’Italia? Il fatto che la Germania, patria di questa visione economica, sia tornata ad essere la locomotiva economica del vecchio continente, la prima nazione a dare segnali forti di ripresa, il paese europeo a trainare l’esportazione, può essere un valido motivo per interrogarsi sulla sua fattibilità nel nostro contesto? Se lo sono chiesto nei giorni scorsi i relatori invitati presso l’istituto don Sturzo per un dibattito organizzato dalla fondazione K. Adenauer, a Roma.
L’uomo di oggi, dopo la crisi finanziaria ed economica che sta ancora scuotendo le fondamenta del nostro ordine economico, portando innanzi ai nostri occhi il risultato di un’avidità sfacciata e dello scollegamento tra profitto e rischio, il convegno dal tema “C’è ancora lavoro in Europa”, ha voluto mettere al centro dell’economia la dignità dell’uomo. La visione cristiana esige che la politica economica si adegui all’uomo e non viceversa. Perciò occorre un ordine economico che tuteli le basi di un’economia liberale – libertà contrattuale, proprietà privata, concorrenza e certezza del diritto – rendendo impossibile, attraverso la regolamentazione, l’uso eccessivo della libertà da parte di alcuni.
L’economia occidentale sembra stentare ad uscire dalla crisi che ci attanaglia ormai da oltre due anni. Economisti, politici e imprenditori alternano annunci positivi ad affermazioni più pessimistiche e prudenti. E anche l’attenzione all’etica in economia sta passando in secondo piano. Appena scoppiata la crisi, tutti ad invocare norme e leggi per impedire di nuovo la catastrofe partita dall’America e velocemente propagatasi nelle diverse economie occidentali. Ora sembra tutto sia ritornato ad un “lasciamo correre, vediamo se la crisi passa, anche senza regole etiche”.
Quante volte abbiamo sentito dire che il “mercato da solo non basta”, che occorre trovare un equilibrio tra “mercato e ragioni sociali”. Ma non si sono visti particolari impegni e risultati, forse perché troppi interessi di parte vengono toccati.
L’economia sociale di mercato, che non va confusa con l’economia del mercato sociale, riporta la dignità della persona al centro del processo economico, stimola l’efficienza della concorrenza in quanto permette all’operatore pubblico di inserirsi nel gioco delle parti stabilendo le regole per una concorrenza libera, rispettosa di tutti i soggetti che operano nel mercato, affinché non ci siano distorsione né imparzialità. Secondo questa visione una maggiore concorrenza porta maggiore produttività e quindi la necessità sociale di maggior distribuzione. Se in Germania l’economia sociale di mercato ha portato grandi risultati nella società e nel sistema produttivo, in Italia la sua declinazione esige ancora molto tempo e riflessione.
L’esperienza di questa crisi “dovrebbe portarci a ricostruire un nuovo umanesimo del mercato del lavoro”. Nel nostro paese un’economia sociale comporterebbe scelte strategiche che avrebbero conseguenze non facili da gestire ed accogliere. Il debito pubblico è stato giustamente tenuto sotto controllo dal ministro Tremonti, e questo ci sta evitando i disastri che, Grecia prima, Irlanda adesso e forse Portogallo e Spagna in futuro, stanno vivendo. Ma occorre continuare nella lotta all’evasione fiscale per recuperare non solo il denaro ma anche, e soprattutto, una culture della legalità e della responsabilità civile, che renderebbero più “sociale” la nostra economia e società. Irrobustire i servizi sociali, combattendo inefficienze e sperperi, attraverso il principio della sussidiarietà è sempre una priorità del nostro sistema.
Secondo alcuni esperti, l’Italia sta vivendo un fenomeno abbastanza inusuale per la storia dell’economia moderna: una crescita senza occupazione. Occorre, secondo la prospettiva dell’economia sociale, rafforzare la flessibilità del mercato del lavoro con un’altrettanto forte tutela sociale. Occorre ridurre il distacco tra il mercato del lavoro e l’istruzione, la scuola, come sta cercando di fare il ministro Gelmini e la sua riforma dell’Università. Occorre, infine, alzare i salari per far ripartire i consumi e affermare, nella concretezza, la dignità della persona e del suo lavoro, il cui valore si misura anche nel salario, che per questo non deve scendere sotto il minimo della sopravivenza sociale. L’economia sociale di mercato può essere un contributo in più per l’Italia nell’affrontare con serietà e lungimiranza il nostro sistema produttivo e sociale."

venerdì 21 dicembre 2012

Il settore della concia vicentina cerca il riscatto

Il settore della concia vicentina ha subito negli ultimi tempi un duro attacco alla sua immagina, a causa degli scandali inerenti l'evasione fiscale di milioni di euro di alcune ditte e aziende della Val di Chiampo, e per la crisi generale che sta ancora colpendo il mondo occidentale, ed italiano in particolare.
Ho avuto l'occasione di incontrare il presidente del settore, il dottor Peretti, titolare del gruppo Peretti, e alcune altre importanti figure che guardano alla concia come un settore fondamentale del 'made in Italy' e della crescita di quest'area della provincia di Vicenza.
Ho avuto ancora una volta la possibilità di conoscere più a fondo un ulteriore ambito industriale che vede in Vicenza delle eccellenze troppo spesso dimenticate dai riflettori dei media nazionali, meritovoli, invece, di un'attenzione e di una valorizzazione che non va lasciata ai soli addetti.
Non a caso la famosissima  Apple  (+ABC News +Leslie Grandy)  ha scelto due ditte di quest'area per produrre le 'cover' dei milioni di tablet realizzati dalla casa di Cupertino.
Qui il link alla rivista 'Industria vicentina' dove a pag. 4 c'è il focus da me scritto.
buona lettura:
http://www.assind.vi.it/notiziario/istituzionale.nsf/codice/189-109